La paura di appartenere a sé stessi come ogni emozione correlata alle nostre “paure” ha mille sfaccettature, altrettante modalità per poterla gestire e ad ogni modo, superare.
Paura di appartenere a sé stessi, paura del proprio modo di essere? Cosa si cela dietro queste domande un po’ retoriche e soprattutto, che significa davvero appartenere a sé stessi?
In queste pagine del mio diario di bordo provo a fare chiarezza e a dare seguito al percorso interiore che ognuno di noi deve liberamente seguire per incamminarsi, come pellegrino della propria anima, verso la consapevolezza di sé in tutta la sua meravigliosa essenza.
Supportato dai miei appunti di tante recenti sessioni di coaching, noto che il focus si sposta proprio su questi due concetti fondamentali su cui voglio fare chiarezza: COSCIENZA E CONSAPEVOLEZZA.
La coscienza è la libera espressione del pensiero, pura riflessione e valutazione su tutto ciò che facciamo. La consapevolezza è sentire, percepire tutto ciò che ci spinge all’azione.
La consapevolezza spesso si alterna alla coscienza quando dobbiamo raggiungere uno scopo. In questo caso la coscienza ci permette di pianificare prima l’azione (per poi valutarla) e la consapevolezza ci garantisce gli strumenti, le tecniche e le attitudini personali, indispensabili, per l’appunto, quando si tratta di raggiungere uno scopo.
Appartenere a sé stessi significa esattamente questo: allineare coscienza e consapevolezza verso lo scopo della propria vita.
Tutt’altro che scontato e banale lo so bene. Ecco svelata la prima grande paura di appartenere a sé stessi: la paura di fare i conti con la propria coscienza quando si tratta di chiedersi:
“ma esattamente qual è il mio scopo?”
Cosa voglio ottenere da questa mia vita che ancora non ho raggiunto?
Se si fatica a rispondere a queste domande è opportuno fermarsi un attimo, resettare la coscienza, indirizzare i pensieri e dare la caccia al proprio scopo.
La paura di appartenere a sé stessi fa già meno paura.
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